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L’Italia si trova nel cuore di un fenomeno globale in rapida ascesa: l’ereditocrazia. Secondo un’analisi de L’Economist, ripresa con particolare attenzione nel contesto nazionale, il peso delle ricchezze ereditate sta crescendo in maniera significativa, ridefinendo il rapporto tra lavoro e patrimonio con importanti ripercussioni sociali ed economiche.
Il dato italiano è particolarmente allarmante. Se nei Paesi avanzati si prevede che nel 2025 verranno ereditati circa 6 trilioni di dollari (il 10% del PIL), in Italia la situazione appare ancora più marcata. Il valore totale di eredità e donazioni ha visto un’impennata negli ultimi decenni, passando dall’8,4% del PIL nel 1995 all’attuale cifra che sfiora il 20% del Prodotto Interno Lordo. Un dato che supera di gran lunga molti altri paesi sviluppati e che, per dare un termine di paragone, è più del doppio della spesa sanitaria pubblica e privata del Paese.
Questo trend non riguarda solamente le élite. Sebbene il numero di miliardari in Italia sia aumentato esponenzialmente negli ultimi quindici anni (da 10 a 71), si stima che un erede su quattro nel 2016 abbia ricevuto un patrimonio superiore a 200 mila euro. Una somma che la famiglia italiana media impiegherebbe circa 10 anni per accumulare.
Boom immobiliare e salari stagnanti: un divario crescente
Secondo quanto ha scritto su La Voce.info Federico Bruni, Consulente economico per istituzioni, governi, aziende e investitori internazionali a Bruxelles, tra i fattori che alimentano l’ereditocrazia, un ruolo chiave è giocato dall’apprezzamento degli asset, in particolare quelli immobiliari. Sebbene a livello nazionale la crescita del valore degli immobili sia stata meno marcata rispetto ad altri Paesi avanzati, in alcuni centri urbani come Milano si sono registrati aumenti significativi, con i prezzi medi di vendita in crescita di quasi il 40% in dieci anni e picchi superiori al 50% in alcune zone.
Questo incremento dei costi immobiliari si scontra con una crescita salariale decisamente debole. A Milano, per esempio, si stima che i prezzi delle case e degli affitti siano aumentati tre volte più rapidamente dei salari dal 2015 a oggi. Un fenomeno che non è isolato, con altre sei città italiane (Venezia, Firenze, Napoli, Bologna e Roma), che presentano un rapporto tra costo della casa e redditi ancora più elevato del capoluogo lombardo. In un contesto di crescita economica nazionale tra le più basse del continente, anche aumenti immobiliari contenuti possono generare una forte divergenza rispetto ai redditi.
4 soluzioni per contrastare l’ereditocrazia
Come evidenzia L’Economist, esistono diverse strategie per contrastare l’ereditocrazia, sebbene spesso impopolari. Tra queste:
- Aumentare o reintrodurre le tasse di successione: In Italia, le aliquote attuali sono basse, le franchigie alte e le esenzioni significative. Un sistema più simile a quello francese o belga potrebbe generare circa 15 miliardi di euro l’anno, risorse potenzialmente destinabili a politiche redistributive.
- Costruire nuove abitazioni nelle aree di maggiore domanda: Tuttavia, considerando il calo demografico previsto in Italia, un’eccessiva costruzione potrebbe rivelarsi poco lungimirante. Più efficaci potrebbero essere incentivi per la riqualificazione di immobili sfitti e politiche mirate sugli affitti.
- Tassare adeguatamente le proprietà: Sebbene la tassazione sugli immobili in Italia sia già consistente (circa 1,25 punti di PIL), un allineamento a livelli come Francia o Regno Unito potrebbe generare ulteriori risorse.
- Stimolare la crescita economica: Questa, secondo L’Economist, è la soluzione più efficace ma anche la più complessa, soprattutto in Italia. Una crescita sostenuta potrebbe far aumentare i salari e incentivare l’indipendenza economica delle nuove generazioni attraverso il lavoro.
La crescente importanza della ricchezza ereditata in Italia solleva interrogativi cruciali sul futuro del Paese, sul divario tra generazioni e sulla necessità di politiche economiche che favoriscano una maggiore equità e opportunità per tutti. Le soluzioni proposte, seppur difficili da implementare, aprono un dibattito urgente sul modello economico e sociale del futuro.