FONDI PENSIONE:  IL GOVERNO DEVE CREDERCI DAVVERO

(Immagine di vectorjuice su Freepik)

Il governo italiano ha dichiarato di voler incentivare la previdenza complementare senza però sostenere ulteriori costi statali, una strategia che Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi di Itinerari Previdenziali definisce irrealistica. Anche perché, dopo le modifiche peggiorative introdotte negli anni passati, prima con la legge finanziaria del 2007 del governo Prodi, che ha indebolito i fondi pensione, e poi con l’aumento della tassazione voluto da Renzi nel 2015, un intervento incisivo per rilanciare le adesioni e diffondere una solida cultura previdenziale sarebbe non solo auspicabile, ma necessario.

Il governo deve dimostrare di crederci

Se lo sviluppo della previdenza complementare deve avvenire a costo zero per lo Stato, come si può realisticamente pensare di raggiungere risultati significativi? E infatti, anche per il 2024, non si è fatto nulla di concreto. A peggiorare ulteriormente il quadro è intervenuto l’aumento dell’imposta sui rendimenti dei fondi pensione, portata dall’11% al 20% da Matteo Renzi, mantenendo inoltre, un unicum in Europa, la tassazione annuale con il dannoso meccanismo del credito d’imposta, che l’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Paolo Padoan non modificò quando introdusse i PIR, ai quali invece concesse l’esenzione fiscale sui rendimenti “a vita” per importi fino a 1,5 milioni di euro. Un lavoratore metalmeccanico, se va bene, accantona una piccola parte del suo salario e viene tartassato fiscalmente.

Tutto e il contrario di tutto

Ora, l’attuale governo manifesta l’intenzione di rilanciare i fondi pensione, ma con una serie di “paletti” che ne minano alla base l’efficacia. L’intento infatti è quello di  mantenere il limite massimo dei versamenti fermo alle vecchie 10 milioni di lire del 1999; non fare  alcuna revisione della tassazione; non reintrodurre il fondo di garanzia per le PMI; nessuna eliminazione del Fondo INPS; rinuncia ai semestri di silenzio-assenso perché considerati troppo costosi; nessuna modifica alle rendite, percepite dai lavoratori come una sorta di esproprio del capitale accumulato, pur sapendo che oltre il 96% dei beneficiari preferisce riscattare in capitale, vanificando l’obiettivo primario dei fondi pensione.
Allo stesso tempo, si auspica che i fondi pensione investano di più nell’economia reale e nel citato fondo strategico. Ma i fondi pensione hanno come priorità il pagamento delle future pensioni: cosa accadrebbe se questi investimenti non producessero i rendimenti attesi? Chi si farebbe carico di tali eventuali perdite?

Ci vuole più coraggio

Se si vuole seriamente sviluppare la previdenza complementare, portando il rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione e il PIL almeno alla media OCSE, è necessario un atto di coraggio e un intervento concreto sulle finanze pubbliche, cancellando le scellerate modifiche apportate dai governi precedenti.
Oggi, il rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione e il PIL in Italia si attesta intorno al 12%, ben lontano dalla media OCSE (oltre il 70%) e anni luce dai paesi del Nord Europa (circa il 100%). La strada da percorrere è ancora lunga; è fondamentale che il governo, ma anche le parti sociali, credano realmente in questo obiettivo. La transizione demografica è già in atto e inarrestabile: servono meno lamenti e paure e più azioni concrete per non trovarci domani impreparati, così come lo siamo oggi che, terminata la grande accelerazione demografica e già in fase di rallentamento, siamo ancora drammaticamente carenti di asili nido.

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