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Passano gli anni ma l’equità sul posto di lavoro per le donne è ancora lontana. A confermarlo per l’ennesima volta è lo sbilanciamento delle retribuzioni delle lavoratrici nel nostro Paese. Secondo il rendiconto di genere dell’Inps il tasso di occupazione femminile è fermo al 52,5% (contro il 69,3% della media Ue), ben 17,9 punti percentuali in meno rispetto a quello degli uomini mentre il divario retributivo medio viaggia intorno al 20% (contro una media europea del 12,7%) , con punte ancora più marcate in alcuni settori strategici. Entrando nel dettaglio scopriamo che le donne impiegate in attività finanziarie e assicurative guadagnano in media il 32,1% in meno rispetto ai colleghi. Se ci spostiamo nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, invece, il gap salariale raggiunge il 35,1%. A registrare il divario più alto è il settore immobiliare dove la differenza è di quasi il 40%.
Le cause
Le cause della disparità sono diverse tra le queste spicca il maggiore utilizzo del part-time da parte delle donne e spesso non per scelta. Nel 2023, il 64,4% dei lavoratori a tempo parziale era di sesso femminile (la media europea viaggia intorno al 31,8%) e il 15,6% delle occupate ha dichiarato di essere costretta al part-time involontario, un valore tre volte superiore rispetto a quello maschile. La minore incidenza di straordinari e la segregazione occupazionale, che vede le donne relegate in ruoli meno retribuiti e con minori prospettive di carriera, contribuiscono poi ad ampliare il gap salariale che si riflette, inevitabilmente, anche sulle pensioni. A fine carriera, infatti, le donne ricevono un importo medio mensile più basso di circa il 47% rispetto a quello percepito dagli uomini, con una media di 989 euro contro 1.897 euro. Questo dato è il risultato di carriere più brevi, interruzioni lavorative per la cura della famiglia e salari più bassi. La difficoltà di raggiungere i requisiti contributivi per la pensione anticipata è evidente: solo il 27% delle pensioni di anzianità tra i lavoratori dipendenti privati e il 25,5% tra gli autonomi viene erogato a donne.
Poche ai vertici aziendali
Il Rapporto dell’Inps evidenzia anche un altro dato interessante: nonostante le lavoratrici abbiano mediamente livelli di istruzione più elevati rispetto agli uomini, con il 52,6% di diplomate e il 59,9% di laureate nel 2023, faticano ancora a raggiungere posizioni di posizioni di vertice, tanto che solo il 21% dei dirigenti è donna, mentre tra i quadri la percentuale arriva al 32,4%. La sovra-istruzione è un fenomeno che colpisce in modo particolare il genere femminile: il 29,4% delle donne impiegate ha un titolo di studio superiore rispetto a quello richiesto per la mansione svolta, percentuale che supera il 40% nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni.
Poca condivisione del carico familiare
Accanto alle criticità economiche c’è poi un tema sociale rilevante: la gestione del lavoro di cura. Le donne continuano a sostenere la maggior parte del carico familiare, come dimostrano i dati sui congedi parentali. Nel 2023, le giornate di congedo utilizzate dalle madri sono state 14,4 milioni, contro appena 2,1 milioni da parte dei padri. L’insufficienza dell’offerta di servizi per l’infanzia aggrava ulteriormente il problema, con solo poche regioni, come Umbria, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta, che raggiungono l’obiettivo europeo di 45 posti nido ogni 100 bambini.