(Immagine di drobotdean su Freepik)
Il sistema pensionistico contributivo italiano ha molto da imparare dal suo omologo svedese, in particolare riguardo alla flessibilità in uscita, un tema che, secondo quanto ha scritto su Lavoce.info Sandro Gronchi, docente di Economia Politica presso l’Università Sapienza di Roma, l’attuale legge di bilancio affronterebbe con strumenti inadeguati. Analizzando la complessa struttura del modello svedese e semplificandone i concetti chiave, infatti, emerge chiaramente la sua superiorità nel garantire sostenibilità ed equità.
Il sistema contributivo italiano calcola la pensione in base ai contributi versati dopo il 1995, rapportandoli a un “divisore” che stima la vita residua e si aggiorna biennalmente in base alla crescente longevità. Tuttavia, i divisori attuali, basati sui dati Istat del 2021, risultano obsoleti, soprattutto per chi va in pensione anticipatamente. Per esempio, un sessantunenne che è andato in pensione nel 2024 ha una vita residua più lunga di quanto stimato da un divisore basato sulla sopravvivenza di generazioni precedenti.
Questa obsolescenza dei divisori porta a erogare pensioni superiori ai contributi versati, creando un deficit strutturale che mina la sostenibilità del sistema e genera iniquità, penalizzando chi va in pensione più tardi. Da questa analisi emergono due imperativi politici: innalzare l’età pensionabile per contenere il deficit e restringere la sua variabilità per limitare le disparità.
L’esempio svedese
Il modello svedese risponde a entrambi questi imperativi. Consente l’accesso alla pensione tra i 66 e i 69 anni, indipendentemente dall’anzianità contributiva, escludendo forme di anticipo a eccezione della “pensione provvisoria” dai 63 anni in su. Questa pensione anticipata è concepita come un prestito, rimborsato tramite una decurtazione del montante contributivo al raggiungimento dell’età pensionabile minima, garantendo così la sostenibilità del sistema senza compromettere la flessibilità.
Sebbene anche il sistema svedese soffra di un “deficit ordinario” dovuto all’obsolescenza dei divisori (seppur in misura minore rispetto a quello italiano), esso si avvale di un sofisticato “balance mechanism“, un algoritmo di correzione della spesa che i politici italiani sembrano restii ad adottare.
In Italia, un timido tentativo di introduzione della pensione provvisoria si riscontra nella cassa autonoma degli ingegneri e architetti (Inarcassa), il cui sistema contributivo è più avanzato di quello pubblico. L’adozione di tale strumento nel sistema generale, caratterizzato da un’età pensionabile rigida a 67 anni e dalla coesistenza di pensioni “miste”, richiederebbe una complessa gestione della fase transitoria, con una correzione attuariale dell’anticipo della quota retributiva o la sua configurazione come parte del prestito.
Tuttavia, a regime, la pensione provvisoria rappresenterebbe una soluzione “indolore” per introdurre flessibilità nel sistema contributivo italiano, superando l’attuale caotica proliferazione di regimi speciali e deroghe, spesso basati su requisiti opinabili e generando ulteriori iniquità. L’esempio svedese dimostra che è possibile conciliare flessibilità, sostenibilità ed equità nel sistema pensionistico, una lezione che l’Italia non può più permettersi di ignorare.